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STATI UNITI

MERCATO AGROALIMENTARE: BREVE INTRODUZIONE

Gli Stati Uniti sono allo stesso tempo uno dei maggiori produttori ed esportari di prodotti agroalimentari e bevande e uno dei maggiori importatori al mondo.
Negli Stati Uniti prevale un’agricoltura di tipo intensivo, basata su grandi aziende, le cosiddette “farms”, grandi estensioni di terreni, massiccio impiego di tecnologie e meccanizzazione spinta, massiccio impiego di prodotti chimici, con l’obiettivo di sfruttare le economie di scala e raggiugnere elevati livelli di produttività.
Le colture si suddividono in fasce climatiche e territoriali, le cosiddette “belt”.
Si distinguono diverse aree a seconda della coltura privilegiata in quell’area. C’è la cosiddetta “wheat belt” (la cintura del grano) nelle zone centrali in Stati come Minnesota, Dakota, Montana, Texas, Kansas, Oklahoma.
C’è poi la “corn belt” (la cintura del granturco) in Stati come: Illinois, Iowa, Indiana, Nebraska, gli Stati Uniti sono il primo produttore mondiale di questo cereale.
C’è poi la “cotton belt” (cintura del cotone) che si estende in Stati come: Mississipi, Arizona, Texas, California.
Negli Stati Uniti si producono grandi quantità di cereali come anche grandi quantità di carni. La forte crescita dei mercati asiatici, si pensi alla domanda crescente di carne da parte dei consumatori cinesi, ma anche di altri paesi, ha moltiplicato gli allevamenti per la produzione di carne bovina, suina, come anche di pollame.
Nel settore agroalimentare statunitense operano grandi aziende che sono ormai delle multinazionali.
Importanti sono anche le produzioni di soia, canna da zucchero, arachidi, riso, tabacco, le colture orticole, la produzione di legname.
Molto sviluppato anche l’allevamento di bestiame soprattutto in Stati come il Texas o nelle zone dei Monti Appalachi e dei Grandi Laghi.
Molto sviluppata soprattutto negli Stati che si affacciano sul Golfo del Messico la pesca.
Gli Stati Uniti stanno diventando anche un importante produttore vinicolo con una produzione che si concentra prevalentemente nello Stato della California.
I principali partner nel settore agrolimentare statunitense sono il Canada, il Messico e la Cina. Anche l’Italia comunque è riuscita a conquistarsi su quel mercato una posizione di rilievo soprattutto in alcuni comparti: vini, olio d’oliva, formaggi, pasta.
Nel 2016 l’Italia ha esportato verso gli Stati Uniti prodotti agroalimentari e bevande per quasi 4 miliardi di Euro, circa un decimo del totale dell’export agroalimentare italiano, con un aumento del +5,8% rispetto al 2015. Il settore vino da solo rappresenta circa un terzo del totale dell’export del settore verso gli Stati Uniti.
L’area geografica dove si concentra l’esportazione di prodotti agroalimentari italiani è quella degli Stati del Nord Est (Connecticut, Delaware, District of Columbia, Maine, Maryland, Massachusetts, New Hampshire, New Jersey, New York, Rhode Island, Pennsylvania, Vermont), area nella quale si concentrano circa 65 milioni di abitanti, il 20% della popolazione americana, che è anche una delle aree economciamente più ricche del paese.
In quest’area si concentrano grandi realtà urbane come New York, Boston, Philadelphia e la capitale Washington. La popolazione di questi Stati è culturalmente più aperta anche dal punto di vista gastronomico, in quest’area c’è una forte concentrazione di americani di origine italiana. Sono le realtà più cosmopolite degli States e quindi con una popolazione più propensa a viaggiare, conoscere nuovi gusti e nuovi prodotti e a sperimentare anche nuovi sapori.
Per quel che riguarda la cucina e le tradizioni gastronomiche si può ragionevolmente dire che non esiste una “cucina americana”. Esistono alcune abitudini e tradizioni, come quella del barbecue o quella del fast food, soprattutto a base di hamburgher e patatine, che si è sviluppata enormemente a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale. Un paese poi costituito da immigrati provenienti da ogni parte del pianeta ha finito per assorbire e mischiare gusti, sapori, piatti, prodotti, provenienti da tutto il mondo in un miscuglio non sempre armonico, tanto è vero che gli Stati Uniti sono uno dei paesi al mondo con il più elevato tasso di malattie e problemi legati al consumo di cibo. L’obesità è negli Stati Uniti un vero e proprio problema sociale con tutte le conseguenze e i relativi costi. L’abitudine a mangiare quantità sconsiderate di cibi confezionati, spesso di basso prezzo e quindi anche di bassa qualità, il cosiddetto “junk food”, il cibo spazzatura, crea grandi problemi a percentuali elevate della popolazione statunitense. L’incidenza di malattie legate o favorite da un regime alimentare poco corretto, come quelle cardiovascolari, il diabete, i tumori, ecc. è molto elevata.
Questa situazione con i problemi che ne derivano ha anche animato il dibattito politico. Come noto, la moglie dell’ex Presidente Obama, Michelle, si era molto interessata ai problemi di una dieta più sana ed equilibrata anche con gesti clamorosi come l’aver creato un orto nei giardini della Casa Bianca, per promuovere il consumo di verdure fresche.
Ovviamente tutte le campagne di informazione si scontrano poi con gli interessi fortissimi delle grandi multinazionali del settore agroalimentare anche se il mercato non è un processo unidirezionale. Le grandi multinazionali hanno certamente la forza finanziaria per fare grandi campagne pubblicitarie ma se i gusti dei consumatori mutano ne debbono tenere conto e sono costrette a cambiare i loro atteggiamenti ma anche i loro prodotti. La maggior sensibilità, soprattutto delle generazioni più giovani alle tematiche del benessere e della salute, stanno portando anche le grandi aziende a mutare i loro atteggiamenti e a “cavalcare” le nuove tendenza, basti pensare al crescente successo dei prodotti biologici.
Le singole comunità etniche presenti nel paese hanno, comunque, in parte, mantenuto le tradizioni gastronomiche dei paesi d’origine, per esempio gli italoamericani mangiano la pasta, i nippoamericani il sushi, gli ispanoamericani le tortillas. Ma in realtà l’offerta gastronomica in ogni angolo del paese è così vasta e variegata e le abitudini delle nuove generazioni sempre più curiose di sperimentare nuovi sapori e nuovi prodotti ha portato a sviluppare una crescente domanda di prodotti d’importazione di qualità.
La domanda di prodotti agroalimentari di qualità, categoria in cui rientra gran parte della produzione italiana, dopo una flessione forte seguita alla crisi finanziaria del 2008-09, ha ripreso a crescere con successi crescenti sorpattutto per alcuni prodotti, basti pensare soltanto ai vini o all’olio d’oliva.
Il mercato statunitense è molto recettivo per qualunque prodotto del settore agroalimentare e delle bevande anche se non è un mercato facile. Ci sono ancora notevoli barriere, soprattutto non tariffarie, dalle procedure doganali, ai requisiti sanitari, ai sistemi delle licenze per determinati prodotti, che rappresentano un oggettivo ostacolo all’accesso a quel mercato.
I prodotti agroalimentari italiani hanno un grande successo sul mercato statunitense. Ma anche le bevande a cominciare dal vino e negli ultimi anni anche la birra e le acque minerali, trovano sempre più spazio per l’esportazione.
Anche negli Stati Uniti tuttavia c’è quel fenomeno, per noi deleterio chiamato dell’”italian sounding” o del “fake italian”, in pratica prodotti agrolimentari a cui viene dato un nome italiano o sulla cui confezione vengono riportati riferimenti all’Italia, come la bandiera tricolore oppure mappe e riferimenti geografici, ma che di italiano non hanno nulla essendo prodotti negli Stati Uniti o in altri paesi.

 

 

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Stati Uniti agro reportIl Mercato dei
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Formato: PDF
Prezzo: Euro 60
Codice prodotto: USA24AAREP
Pagine: 110
Stato: in aggiornamento

 

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PRODOTTI AGROALIMENTARI e BEVANDE

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